La donna in riflessione, madre di una nuova aurora

La malinconia, nell'iconografia artistica, è rappresentata da una figura di donna seduta con il capo appoggiato sulla mano e l'altro braccio abbandonato lungo il corpo.
Questo sentimento, definito come il sentirsi tristi per qualcosa che si ha perduto o che non si ha mai avuto e di cui si sente la mancanza, è stato ampliamente rappresentato nella storia dell'arte. Lo troviamo ad esempio nel bassorilievo Penelope afflitta conservato al Metropolitan Museum di New York. Penelope, abbandonata da Ulisse, è rappresentata con l'aria pensosa e afflitta al pensiero di non vedere più il marito.

La parola stessa malinconia deriva dal greco e ha origine nella antica medicina della scuola di Ippocrate secondo la quale i comportamenti umani sono determinati dai quattro umori base: bile nera, bile gialla, flegma e sangue. La malinconia, letteralmente bile nera, descrive quello stato d'animo misto tra tristezza, inquietudine e malumore.
La parola poi è sempre stata associata al temperamento dell'artista che si strugge per il male del desiderio che non trova il suo oggetto. Questo concetto è per me affascinante perché è una condizione che in realtà va oltre l'artista in senso stretto, ovvero colui che comunica con le proprie opere, e abbraccia le sfere più intime dell'essere umano. L'essere umano che desidera ma che non può ottenere, l'essere umano che vorrebbe ma non può perché impedito da forze invisibili ma difficili da sradicare.
Questa condizione io la associo all’essere umano donna. La donna che nei secoli passati come oggi, troppo spesso, desidera ma non ottiene perché bloccata in un ruolo nebuloso derivante da un fardello passato da cui non è facile liberarsi.
La difficoltà di sentirsi integrate in un mondo che non sembra il loro, come fossero invitate. Un po' come si sentiva Picasso nel suo periodo blu a Parigi durante il quale ci racconta il suo stato d'animo proprio riprendendo il sentimento della malinconia nel suo Arlecchino, datato 1917.

La figura della donna oggi è figlia anche della Malinconia di Albrecht Dürer, datata 1514. L'artista in questa incisione rappresenta un genio alato pensieroso che non agisce per il senso di inutilità dell'agire. Ha lo sguardo cupo, accigliato e verso una direzione che non riusciamo a vedere. La figura non sta svolgendo alcuna attività nonostante i tanti attrezzi e strumenti che troviamo attorno a lei nel quadro, si trova in un momento di riflessione. Un momento, per le donne, durato troppo a lungo.

Le artiste donne sono praticamente assenti nel panorama artistico, troviamo alcune eccezioni elogiate e descritte quasi fossero “fuori dall'ordinario ”, come a sottolineare che una donna non possiede le stesse capacità e profondità d'animo di un uomo e se in qualche modo manifesta qualcosa degno di attenzione allora è eccezionale, con un mal celato accenno ad eccezione, rarità. Un fenomeno quasi irripetibile.
Ovviamente noi oggi sappiamo che nella storia tante voci, menti e mani femminili sono state fermate ancora prima di iniziare ad agire ma ci sono voluti secoli per rendersene conto.
Credo che la malinconia sia il sentimento più adatto per descrivere la donna perché malinconia è riflessione, è osservare in silenzio, è capire e sapere ma non dire. Malinconia è nostalgia per un futuro che si avrebbe potuto avere, per un desiderio che si sarebbe potuto realizzare.
Noi donne occidentali viviamo in una condizione privilegiata, possiamo fare. Non senza giudizio, pregiudizio o ingiustizie ma possiamo. Ma ancora tante donne non possono e si trovano nella condizione della Malinconia di Caspar Friedrich del 1803.

La donna è raffigurata nell'atto di portare la mano alla testa mentre guarda un orizzonte bianco. Non guarda lo spettatore ma lo invita a partecipare al suo muto e incomprensibile dolore. La natura intorno a lei infatti è aggressiva, portatrice di morte e la ragnatela, dietro di lei, significa abbandono.
La natura è l'umanità intera, inospitale e ingrata, la ragnatela è la società che non si interessa di un problema dilagante e tanto antico da essere diventato uno status.
Perché oggi si parla tanto, troppo di diritti delle donne, della loro condizione di inferiorità rispetto all'uomo, delle possibilità ridotte, delle ingiustizie subite, della debolezza, del disagio ma il rischio di mettere in questi termini il problema è quello di restare vittime. Fino a quando l'obbiettivo sarà quello di integrare le donne, esse si sentiranno malinconicamente impostore di una società che non sarà anche loro ma della quale saranno ospiti.
Quello a cui mi piacerebbe assistere è una nuova Aurora, come quella dipinta da Artemisia Gentileschi. Aurora percorre a piedi nudi un campo al crepuscolo, risvegliando la natura come una dea della fertilità, ruolo sottolineato dalle proporzioni matronali e dalle tracce di passate gravidanze sull’addome. Le sue braccia gesticolanti, una che indica la luce del cielo, l’altra tesa verso la vegetazione rugiadosa, restituiscono alle piante il loro vigore diurno, come descrisse l'opera la storica dell'arte Sheila Barker.
Aurora è una giovane donna che corre verso il nuovo giorno lasciandosi alle spalle la notte appena passata, illuminando la natura di una nuova luce con un entusiasmo talmente ampio da riempire, con la sua maestosa apertura delle braccia, l’intera tela.

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